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il giocattolo dello zio - Parte 7


di honeybear
15.05.2013    |    14.442    |    1 9.8
"Si appoggiò al muro bianco con la schiena e le spalle..."
Mi allungai verso di lui per baciarlo: generosamente aveva lasciato un po’ del mio nettare da succhiare. Le nostre lingue dapprima completarono il facile lavoro, poi presero a sfiorarsi leggere inseguendosi infine sempre più freneticamente. Faceva uno strano effetto sentirmi quella di mio padre in bocca intenta a giocare con la mia, a miscelare le reciproche salive, sentirla perlustrare il mio palato, spingersi in profondità nella mia gola e poi risalire avida a ricercare le mie labbra ed io le sue. Lì per lì credo che m’irrigidii imbarazzato, poi mi comportai come se fosse la cosa più naturale del mondo e cercai anzi di ripagarlo con lo stesso ardore con mi lavorava lui.
Provò ad avvicinarmi a sé. Mi svincolai rapidamente: i miei piani non erano quelli.
L’unica concessione fu quella di ripulire, leccandolo, il suo pelo nero macchiato dal mio seme ancora tiepido. Fu divinamente bello scendere con la lingua su quel prato scuro cercando di districare ogni singolo filo d’erba, ristorandomi sui suoi enormi capezzoli. La punta della lingua roteava libera intorno all’areola, fino a che le labbra non si applicarono a ventosa sulla parte centrale, posizione ottimale per partire nuovamente a suggere e pennellare con la saliva.
Lo sentivo lamentarsi, mentre s’infilava le dita di una mano in bocca ondeggiando il capo. Nemmeno mi sfuggì il fatto che l’uccello, se possibile, si era fatto duro come il più duro degli acciai e la cappella vermiglia sembrava pronta ad esplodere. Operai con la massima cura e mi sollevai ammirando soddisfatto il risultato.
Mi guardai intorno. Lo scenario non era mutato: quattro vittime supplici prostrate ai miei piedi. Quattro enormi, splendidi maschi villosi, desiderosi di essere annientati da un piccolo cucciolo che credevano indifeso e che, loro malgrado, si era rivelato più pericoloso del previsto.
Era come se la mia presenza fungesse da narcotico per loro. Mentre li toccavo cominciai a pensare che, se per reazione, si fossero coalizzati, di me avrebbero lasciato ben poco…
Scacciai in fretta quei pensieri mentre passavo ancora una volta in rassegna le loro aste svettanti. M’insalivai la mano e accarezzai le loro cappelle una per una. Ad ogni visita erano sussulti e gemiti e quando la mano scendeva verso la radice dell’asta percepivo chiaramente la successione di pulsazioni che di lì a chissà quando, li avrebbe portati al piacere.
Tornai a rendere gli onori a quel formidabile picchetto un’ultima volta, passeggiando lentamente davanti a loro, riprendendo a masturbarmi e succhiandomi un dito con la mano libera, come se stessi cercando qualcosa.
In effetti cercavo la mia prima vittima…
Feci alzare lo zio Enrico afferrandogli l’uccello. Lo condussi vicino alla porta da cui ero entrato di modo che tutti potessero assistere allo spettacolo e diedi il via allo show.
Si appoggiò al muro bianco con la schiena e le spalle. Le gambe, leggermente divaricate e flesse, avvolsero le mie. Cominciai a baciarlo sulla bocca, scendendo verso il collo. Ansimando, mi prese per la nuca guidando i miei movimenti: non voleva che andassi oltre. Glielo concessi. Così, aiutandomi anche con la lingua, lo limonai fino al momento in cui non sollevai una gamba cingendogli il fianco.
La sua testa che, sotto la pressione dei miei attacchi, non aveva smesso un attimo di ruotare a destra e a sinistra, si fermò di colpo. I suoi occhi si piantarono nei miei mentre gli passai le braccia intorno al collo. Assentii leggermente e sentii scivolare la sua mano fino ad afferrare il gluteo della gamba che ancora poggiava a terra. La alzò in modo da tenermi saldamente in braccio.
Mi guardò nuovamente. Sorrise. Ricambiai e lentamente mi lasciò scivolare su di lui: la sua cappella dilatò con facilità le pieghe del mio ano e la sua asta arrivò ad imparlarmi completamente. Restammo così alcuni istanti abituandoci alla posizione e, se necessario, rinsaldaldandola. Le sue braccia forti mi serravano le scapole in una morsa erculea così, senza titubanza alcuna, iniziò a farmi danzare su di sé.
Le percezioni di quello scorrere erano indescrivibili: le spinte e i colpi si susseguivano necessariamente lenti e decisi, ma continui, imperterriti, inesorabili e, cosa non trascurabile, raggiungendo ogni volta il fine corsa rappresentato dai suoi enormi coglioni pelosi, bisognosi di svuotarsi completamente nelle mie viscere. Io, ad ogni suo affondo, inarcavo leggermente la schiena reclinando il capo mentre ad ogni risalita saziavo la sua (e mia) voglia di baci e di lingua.
Nonostante il leggero dolore, la sensazione di quel cazzo così grosso e duro nel mio culo era splendida. Le spinte che si succedevano senza fine, accesero in entrambi lampi di piacere (facendomi vedere le stelle, ma d’altronde eravamo a sera inoltrata… Nulla di strano dunque!).
E quando, dopo un tempo che mi parve interminabile, la fontana dello zio zampillò dentro di me, mischiando i suoi umori con i miei, ebbi come la sensazione di svenire, tanto forte fu il piacere.
Il liquido viscoso prese a colare dal mio buco imbrattando gli ispidi peli delle gambe forti e muscolose dello zio, mentre il mio sfintere provava a regolare le sue contrazioni.
Mi fece scendere. Ripulii per bene quel cazzo che finalmente aveva trovato pace, senza ingoiare nulla di quanto raccoglievo. Anzi, a quanto già avevo sulla lingua, aggiunsi un assaggio di ciò che colava dal culo, suggellando con un ultimo, bollente bacio di ringraziamento, il trattamento riservatomi.
Lo lasciai appoggiato al muro mentre si lasciava scivolare a terra imprimendosi in volto un sorriso di puro e beato godimento.
Mi diressi verso lo zio Giacomo. Mentre afferravo anche il suo membro per farlo alzare, mi sorrise grato per averlo scelto: di lì a breve sapeva che anche lui avrebbe raggiunto il paradiso.
Mi sdraiai sui cuscini che avevo sistemato a terra; si avvicinò alle mie gambe divaricandole.
Le afferrò rovesciandole fino a farmi poggiare i piedi oltre le spalle, così che il mio culo fosse alto ed esattamente perpendicolare a lui. Masturbandosi, ne osservò per alcuni istanti lo stato di dilatazione; infine si risolse d’infilarmi tre dita in bocca. Le succhiai insalivandole a dovere.
Gliele sentii passare sullo sfintere che non smetteva di accarezzare. Immagino anche che continuasse divertito ad osservarlo contrarsi al minimo movimento di quelle dita rudi. Ne spinse dentro un paio senza troppi complimenti. Mi lamentai per il dolore, ma, incurante delle mie rimostranze, proseguì infilando anche il terzo:
“Un altro…” lo incitai completamente rosso in volto.
“Mmmm…” fu la risposta mentre anulare e mignolo raggiungevano i fratelli.
Deciso e determinato, lo zio continuò a dilatarmi fino a che, suo giudizio, il culo non fu abbastanza largo per accogliere qualcos’altro.
Lasciandomi in quella pozione, prese a scivolare lentamente dentro di me, leccandosi le dita che erano state prima nel mio culo. Poggiò la cappella contro l'ano strofinandogliela intorno. Stante la postura non propriamente comoda, sussultavo ad ogni contatto. Ansimavo e la mia voglia cresceva in maniera proporzionale alla mia nuova erezione.
Quando si ritenne soddisfatto da quel preliminare, lo infilò aiutandosi con la mano. Strinsi i denti: provai una leggera fitta, ma mi piaceva sentire quel cazzo enorme dentro di me, anche da quella posizione. Come il più consumato degli atleti iniziò a spingere con regolarità piegandosi sulle ginocchia. Spingeva fino alle palle per poi estrarlo completamente e ripartire con un nuovo affondo. L’asta penetrava in tutta la sua lunghezza percorrendomi il retto fino a che i coglioni non sbattevano contro i miei glutei pizzicandoli con i peli lunghi e lucenti.
Mugolavo di piacere e lui con me.
“Lo voglio tutto…” mi lasciai sfuggire, e lui, per tutta risposta, non poté far altro che accelerare le spinte rendendo i colpi così violenti da farmi davvero male. L’effetto sortito fu tuttavia quello di eccitarmi ancora di più, rendendo la mia erezione quasi dolorosa. Per placarmi presi a masturbarmi in maniera vergognosa, cercando oltretutto di avvicinarmi con la lingua alla mia stessa cappella per accoglierla in bocca.
Non ne ebbi il tempo. Un ringhio improvviso arrestò il gioco. Lo zio, quasi senza uscire da me s’inginocchiò. Sistemò i miei piedi sulle sue spalle e, mantenendomi il bacino sollevato, si rimise in moto. Alternava le sue spinte di bacino ad azioni sul mio culo che avvicinava o allontanava da sé a seconda che volesse farmi sentire il suo uccello più o meno in profondità.
“Sto venendo…” annunciai quasi sussurrando. Davvero non ce la facevo più: la cappella aveva assunto un colore violaceo e le pulsazioni si erano fatte vicinissime tra loro. Il dolore provato poi, si mescolava a quello infertomi da quel suo stantuffare, che pure avrei desiderato interminabile.
Chiusi gli occhi, spalancando la bocca in un urlo liberatorio. Inarcando la schiena lasciai il mio caldo piacere libero di espandersi sul mio corpo.
La scena stimolò a tal punto lo zio da procurargli un orgasmo tremendo: mi sentii inondare il culo di sborra in maniera così repentina e sistematica che non riuscii a trattenerne che una minima parte. Il resto si disperse a terra, mentre il corpo possente di quello stupefacente esemplare di maschio stramazzò insieme a me sui cuscini, finendo di sfogare la sua libido in mille baci e carezze.
Mi ci volle un po’ a riprendermi. E lo stesso per lui: si rovesciò su un fianco, gli occhi chiusi, il respiro affannato, la pelle ed il vello scuro madidi di un misto tra sudore e liquido seminale. Mi avvicinai al suo volto lo baciai e puntai dritto su mio padre.
Il suo turno era infine giunto!
-CONTINUA-
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